Trend del mondo del bere: anche il Giappone cambia

Se pensate al Giappone e al bere, vi viene subito in mente un brindisi di sake in un izakaya fumoso o un nomikai di after-work con i colleghi, vero? Eppure, nel giro di pochissimi anni, il Giappone ha messo il pilota automatico su un nuovo corso: meno alcol, più consapevolezza.

Fino a qualche anno fa, il Paese occupava stabilmente il settimo posto mondiale per consumo di birra, con brand come Asahi, Kirin, Sapporo e Suntory a farla da padrone. Ma nel 2022 il paese è scivolato al decimo posto, per una serie di motivi: la pandemia che ha ridotto i momenti di socialità, una popolazione che invecchia (e fa meno figli), e una crescente attenzione a stili di vita più sani. Nel 2023, le entrate fiscali da alcol sono scese a 1,18 trilioni di yen, uno dei livelli più bassi degli ultimi decenni. Il segnale più forte? I giovani non vogliono più riempirsi di birra o whisky, ma preferiscono “sorsi consapevoli”: un venticinque per cento di tutti i giapponesi sceglie bevande a basso contenuto alcolico o del tutto analcoliche, mentre fra i 25-34enni la percentuale sale al 56%, e fra gli 18-24enni al 49%. Un bel cambiamento, se consideriamo che fino a poco tempo fa socializzare voleva dire anestetizzare il fegato fino al giorno dopo.

Il dietrofront del Governo

Qualcuno di voi forse ricorda la campagna “Sake Viva!”, lanciata nel 2022 dall’Agenzia delle Entrate nipponica, che aveva lo scopo di spronare i ventenni e trentenni a bere di più per far risalire le entrate fiscali. Ma, tra critiche sugli aspetti di salute e accuse di voler privilegiare incassi a breve termine a scapito del benessere, l’iniziativa si è presto trasformata in un boomerang.

Nel 2024, il Ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare ha fatto una clamorosa inversione a U: anziché invitare i giovani a brindare, ha diffuso le prime linee guida ufficiali sul bere corretto, aderendo alle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il messaggio è chiaro: gli uomini non dovrebbero superare i 40 grammi di alcol puro al giorno, le donne i 20 grammi. Per intenderci, 20 grammi corrispondono a una lattina da 350 ml di chūhai o a una da 500 ml di birra.

Perché tanto allarme? Le morti per malattie epatiche legate all’alcol sono quasi raddoppiate, passando da 3.327 nel 2002 a 6.296 nel 2022. Il Ministero, nelle sue linee guida 2024, non parla solo di rischi a lungo termine (come i tumori o la cirrosi), ma mette in evidenza anche i “costi comportamentali”: perdita di coordinazione, calo di concentrazione e… figuracce in pubblico.

Prendiamo Shibuya, quartiere simbolo di Tokyo: dopo la pandemia la movida di notte è rinata, ma con lei sono ricomparse l’affluenza eccessiva, il caos dei banyados (i gruppi di giovani ubriachi), la spazzatura per le strade e il baccano. Così le autorità hanno imposto un divieto permanente di consumare alcol per strada, prima vigente solo a Halloween e Capodanno, ora esteso all’uscita est della stazione di Shibuya e al quartiere dei locali di Maruyamacho.

Anche la pubblicità alcolica è finita sotto i riflettori: in Giappone è vietato trasmettere spot tra le 5 e le 6 del mattino a meno che il 70 % del pubblico non sia già maggiorenne (20 anni). Questo significa che anche colossi come Suntory devono stare attenti: nel 2024 un cartellone pubblicitario per un highball al shōchū, esposto in una stazione della metro di Tokyo, è stato fatto rimuovere dopo le proteste di chi lo riteneva un incentivo all’ubriachezza in pubblico. In un paese dove convivono izakaya aperti fino a tardi e nomikai che durano fino all’alba, il post-pandemia ha accelerato un ripensamento profondo.

“Bere slow”: chūhai, sour e cocktail creativi

Il vento generazionale soffia forte, e sono i ragazzi di Gen Z a dettare legge: birra e whisky pesante non bastano più. La tendenza è virare verso drink “giocosi” e creativi, leggeri e prolungati. Il simbolo di questo cambiamento? Il chūhai: una lattina frizzantina, spesso aromatizzata alla frutta, che si aggira tra il 3 % e il 5 % di alcol – perfetta per godersi la serata senza schiantarsi. Il trend ha trasformato i menu dei bar: via alcolici forti e shot istantanei, spazio a cocktail più soft come il “JJ” (jasmine shōchū miscelato con tè al gelsomino) oppure al beer ball (birra allungata con soda). I palati di Gen Z non amano sapori troppo dolci o troppo amarognoli: cercano equilibrio e freschezza. Tra le novità c’è persino il ritorno dell’espresso martini, ma non nel classico cocktail bar: ora compare anche nei caffè che restano aperti fino a tardi, a conferma che la bevuta sta diventando un’esperienza più raffinata e meno usata come stampella sociale.

Dalla nomikai tradizionale a nuove forme di socialità

Per decenni le nomikai – le feste di dopo lavoro – sono state il collante delle relazioni professionali in Giappone: secondo il concetto di nominication (drink + communication), bere insieme aiuta a sciogliere le tensioni e rafforzare i legami con i colleghi. Ma quei tempi stanno tramontando. La pandemia ha interrotto la “formazione alcolica” universitaria: molti giovani non hanno avuto modo di imparare i codici del bere in gruppo e, quando sono rientrati nel mondo del lavoro, per molti è stato naturale restare sobri o limitarsi molto. Alcuni si organizzano in call video per organizzare sessioni di “drinking online: stappano la loro lattina, chiacchierano via schermo e scambiano storie, e ridono come se fossero seduti allo stesso tavolo. Altro che appuntamenti forzati e sale sovraffollate.

E in Italia? Il vino si racconta in modo nuovo

Ora che abbiamo visto come in Giappone il concetto di “bere” stia mutando tra linee guida governative, strategie marketing e gusti di Gen Z, torniamo in patria per scoprire Alkemica, la wine media company che sta cercando di rivoluzionare il racconto del vino con un approccio fresco, transmediale e pratico. L’idea è di “riscrivere il vocabolario del bere”, come spiega il suo fondatore, Andrea Leone. Filosofo di formazione e storyteller per vocazione, Andrea unisce strategia e creatività: setaccia dati “piccoli” e macro-trend per creare narrazioni che parlino a chi il vino lo beve, chi lo produce e chi vuole scoprirlo in modo autentico. Il progetto ha due anime.

La prima anima è quella editoriale, che si rivolge ai consumatori curiosi, a chi ama il vino e cerca storie, intrattenimento ed educazione. La punta di diamante è Vinovagando, un podcast geolocalizzato che ci guida in passeggiate reali tra i vigneti di una denominazione, raccontando storie di persone, territori e bottiglie. La seconda anima è Alkemica Lab – liquid strategies: è il laboratorio strategico che offre servizi di branding e marketing digitale alle aziende del beverage. Ogni quindici giorni esce il Bollettino dell’Alchimista: un carosello (pensato per Instagram e LinkedIn) con insight, trend e strategie per restare aggiornati sul mondo del vino.

Il filo rosso tra Giappone e Italia

Ma cosa accomuna il Giappone che si sveglia dal torpore del “brinda e domani ti rialzi” e l’Italia di Alkemica che riscrive il concetto di racconto enologico? Semplice: la consapevolezza. In Giappone il governo è passato dal “bevete di più” a “attenti a quanto bevete”; in Italia il vino non è più un “solo prodotto da stappare”, ma un “contenitore di storie e territori”, da raccontare con linguaggi nuovi (podcast geolocalizzati, caroselli Instagram, video emozionali). In entrambi i casi, bere diventa un atto di scelta: non ci si limita più a “ingozzarsi di alcol” o a “vendere bottiglie a tutti i costi”, ma si propone un’esperienza che mette al centro la salute, la cultura e il legame umano. Speriamo sia la volta buona, agigungiamo noi di BUNS.

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